Selvatico 1821-2021
L’ora della verità
Esattamente duecento anni fa, nel 1821, Padova inaugurava il suo primo macello pubblico sopra il saliente delle mura cinquecentesche alle ‘grade di Porcilia’, progettato da Giuseppe Jappelli conosciuto anche per il Caffè Pedrocchi e i suoi giardini. Per realizzarlo nelle sue inconfondibili sembianze neoclassiche furono lavorati i grandi pilastri che provenivano dalla monumentale chiesa duecentesca di Sant’Agostino, demolita due anni prima dalla dominazione austriaca per far posto all’odierna caserma ‘Piave’.
A raccontare tutto ciò fu quel Pietro Selvatico che, più giovane di Jappelli, ebbe l’indimenticabile merito di salvare dalla distruzione la Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto, che versava in condizioni di degrado.
Uno studioso ‘militante’, il Selvatico, che oltre ad insegnare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, fondò a Padova nel 1867 con lo scultore Natale Sanavio la Scuola delle arti, la prima dell’Italia appena unificata, alla quale fu poi dato il suo nome nella sede definitiva, a seguito dell’adattamento dell’edificio jappelliano nel 1910, dopo il trasferimento del macello in via Cornaro.
Da allora e per centocinquant’anni quell’edificio, quel nome e le attività svolte sarebbero diventate un unicum di eccellenze e uno dei simboli della città e della creazione artistica. Non a caso, a partire dall’estate del 2017, il Selvatico è stato una bandiera per i tantissimi padovani – si ricordi per tutti Claudio Scimone – che vollero opporsi alla subdola e improvvida chiusura della sede monumentale della scuola. Una mobilitazione che impose, in primis grazie al generoso contributo della Fondazione Cariparo, alla Provincia di tornare sui suoi passi. Ne seguì un bando europeo per la progettazione che, dopo un lungo e tormentato iter, ha consegnato la proposta, frutto di confronti e partecipazione, che è stata resa pubblica dai nuovi amministratori provinciali che con il presidente Fabio Bui e il consigliere delegato Alessandro Bisato hanno creduto nell’operazione. Un qualificato progetto, elaborato d’intesa con la Soprintendenza, che riscatta e valorizza l’edificio jappelliano e che, insieme, nobilita e dà ordine funzionale alle brutte e precarie parti aggiunte negli anni, trasformando il tutto e definitivamente in una integrata ‘macchina scolastica’ aperta alla città con il suo auditorium e il rapporto con le vecchie mura e il fiume.
Le risorse per appaltare due terzi dei lavori sono state reperite, ma ha senso fare una cosa incompleta? Ha senso un corpo senza gambe o meglio una ‘scuola d’arte’ senza quei nuovi laboratori – previsti nella parte non finanziata – che del Selvatico sono sempre stati il motore?
Per troppe incompiute ha fatto notizia la vecchia Italia del pre-covid. Ora bisognerebbe fare sul serio, spendere e spendere bene, e c’è da augurarsi che le risorse del Recovery Fund possano riverberarsi anche sul mondo padovano dell’edilizia scolastica superiore che spesso usa vecchi e superati immobili.
Il Comune di Padova ‘proprietario’ di questi edifici non è certo obbligato ad accollarsi doveri che spettano ai locatari gratuiti, ma il caso del Selvatico è altra cosa, oltre che scuola è un monumento identitario posto in un’area importante di riqualificazione più complessiva e per questo è da augurarsi quel segno concreto che sin dall’inizio, nel 2017, era stato preannunciato.
Elio Armano