La didattica del progetto nei 150 anni di storia del Selvatico
di Antonia Zecchinato
Premessa
Una volta chiamata a fare parte del comitato scientifico che si sarebbe occupato di organizzare la mostra dei 150 ANNI della SCUOLA PIETRO SELVATICO ed il relativo catalogo, non ho potuto fare a meno di rivedere la mia duplice esperienza all’interno della scuola, prima come allieva dell’Istituto d’Arte, poi come docente dell’Istituto d’Arte e del Liceo Artistico.
Ho ricordato con piacere gli anni di studio, molto appassionanti, sia per la vita in classe che per quella d’istituto, ricchi di stimoli, soprattutto negli anni del biennio sperimentale con compagni di classe che appartenevano a indirizzi diversi. Vicinanza che mi ha permesso di conoscere quanto altro si faceva nella scuola e che mi ha aperto al mondo delle Arti.
E, una volta laureata, la scelta precisa di tornare nella stessa scuola come insegnante.
In questo andare e venire di ricordi, ho cercato di capire quali fossero state le motivazioni che mi avevano riportato al luogo di partenza, “era un modo-è un modo di fare scuola”.
E’ stato proprio questo l’aspetto che mi ha dato l’input per percorrere un viaggio, lungo 150 anni, in cui conoscere e capire i contributi, le esperienze, i motivi che hanno fatto la didattica del Selvatico a partire dalla sua fondazione.
I principi fondatori
Nel 1867, nel discorso di inaugurazione della Scuola, Pietro Selvatico Estense delineava i presupposti e le finalità della ‘Scuola di disegno pratico, di modellazione e di intaglio pegli artigiani’ attraverso i seguenti punti:
«Qui non più, come nelle scuole d’Italia vestite d’accademica livrea, saranno copiati i modelli con uggiosa pazienza di tratteggiati ombreggiamenti; ma invece vi si apprenderà a rendere il segno esatto riproduttore dell’esemplare, senza orpelli sciupatori del tempo. Qui la modellazione in creta vi sarà via prontissima a preparare ornamenti degni d’esser tradotti sulla pietra, sul metallo, sul legno. Qui vi si affinerà la mano agli scalpelli taglienti, onde in breve vi sia dato guidarla sicura a scolpire o ad incidere qualsiasi forma ornamentale. Qui, finalmente, ogni cosa imparata si tenterà di farvi applicare a suppellettili di uso comune, sì che possiate ben presto convertire la scuola in officina, e condurvi leggiadri mobili, fregiature di pietra, cesellati argenti» (Selvatico 1867, p. 13).
Secondo Pietro Selvatico la carente qualità dei prodotti d’artigianato derivava soprattutto dalla scarsa abilità degli operai-artigiani a disegnare, a modellare, ad applicare le regole della composizione e per questo si rendeva necessario educare alla disciplina del disegno, al fine di riprodurre in modo esatto ‘l’esemplare’.
Il passaggio successivo al disegno prevedeva quindi la modellazione della forma in creta e, a conclusione, la traduzione di questa in un oggetto in pietra, in metallo o in legno.
Dei tre anni di corso, il primo anno veniva dedicato esclusivamente al disegno a mano libera che
doveva essere eseguito senza uso di gomma o mollica di pane per cancellare. Il fine era quello di esercitare a fondo l’osservazione del soggetto di studio per analizzarne e comprenderne la sua forma, per sviluppare nell’alunno la capacità di tradurre sul foglio da disegno tale forma senza titubanze.
Gli esercizi di plastica e di intaglio iniziavano nel secondo anno e venivano perfezionati nel terzo attraverso ‘la composizione, che nell’Ottocento è sinonimo di progettazione, e nel campo delle arti applicate stava ad indicare la sovrapposizione di ornamenti e fregi a decoro dell’oggetto.
Nei primi anni di attività della scuola (1867-1875) le discipline venivano impartite dallo stesso insegnante che doveva essere «artista abile egualmente nel disegno ornamentale a matita come pratico del modellare in creta e dello intagliare in legno» (Gaudenzio 1967, p. 48).
Il primo insegnante a cui fu affidato questo ruolo multidisciplinare fu lo scultore Natale Sanavio.
La cittadinanza mostrò subito interesse per la scuola che nel giro di pochi anni vide crescere il numero degli studenti.
Pietro Selvatico di fronte a risultati più che lusinghieri, che superavano le aspettative, ritenne necessario rivedere l’impostazione iniziale inserendo nuove discipline, riconoscendo che «non potesse bastare il solo insegnamento del disegno ornamentale a mano libera e della plastica, ma convenisse aggiungervi lezioni di geometria teorica e grafica e un corso di disegno costruttivo» (Selvatico 1880, p. 8).
Da queste indicazioni di Pietro Selvatico, il Comitato di Patroni – osservatori e responsabili dell’andamento della scuola e le Istituzioni della città, con l’appoggio del ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, avanzarono la proposta di cambiare il piano di studi della scuola comunale, modifica che successivamente venne accolta nel 1875 con Regio decreto (Gaudenzio 1967).
Nell’articolo 2 del ‘Riordinamento della scuola di disegno plastica e modellazione’ sono indicate le discipline del nuovo corso di studi della durata di quattro anni.
«Nella scuola si danno insegnamenti elementari di geometria applicata alle arti; di disegno costruttivo applicato ai lavori di falegname, di muratore, di scalpellino, ecc.; di disegno ornamentale a mano libera applicato alle anzidette professioni; di disegno elementare architettonico e di plastica nelle diverse sue applicazioni» (Gaudenzio 1967, p. 53 e 54). Le materie di studio furono affidate a quattro maestri e artisti qualificati: l’ingegnere Barnaba Lava, il pittore Giuseppe Canella, lo scultore Natale Sanavio e l’ebanista Amedeo Campello.
Diversamente dalle altre scuole di disegno che si soffermavano esclusivamente sull’attività grafica, Pietro Selvatico riteneva indispensabile l’abbinamento del ‘disegno’ con le ‘officine’ (laboratori) al fine di integrare e completare il procedimento della ‘composizione’.
Il pensiero di Pietro Selvatico, maturato negli anni di insegnamento e presidenza all’Accademia di Belle Arti di Venezia (1849-1856) e dai contatti con la realtà di altre scuole europee, era quello di creare le basi per una consapevolezza matura alla progettazione. L’esperienza della modellazione come traduzione del disegno ed i successivi sviluppi realizzativi nei laboratori erano i presupposti fondamentali per formare le competenze necessarie a gestire un lavoro in tutte le sue fasi progettuali.
Gli esercizi
Negli anni Ottanta dell’Ottocento venivano considerate di grande importanza «le esercitazioni di disegno a memoria» (Selvatico 1880, p. 21; disegni d’archivio) che avevano lo scopo, oltre che ad esercitare a fondo la memoria visiva, anche quello di sviluppare nell’alunno le capacità di analisi e di sintesi degli aspetti costruttivi e compositivi del soggetto di studio.
Fanno parte sempre della didattica del periodo «gli esercizi di tipo teorico e pratico» (Selvatico 1880, p. 9-12; disegni e modelli d’archivio).
Si tratta di esercitazioni finalizzate alla conoscenza degli stili ma anche delle componenti ornamentali e strutturali dell’architettura. Una volta eseguita la copia grafica di modelli lignei, l’iter veniva completato attraverso la realizzazione in laboratorio di falegnameria degli stessi. In quegli anni l’utilizzo del modello come fatto conoscitivo si diffondeva nelle scuole di disegno e nelle università di molte città d’Italia che si rivolgevano al Selvatico per acquistare i modelli. Per rispondere ad una richiesta sempre crescente, la scuola iniziò una produzione di modelli che furono anche pubblicizzati attraverso un catalogo illustrato dagli stessi allievi, pubblicato nel 1890 (Catalogo 1890).
Ed, ancora ‘gli esercizi di rilievo’.
Sotto la guida di Barnaba Lava, ingegnere e ritrattista, insegnante – dal 1873 al 1919 – di geometria piana e solida, disegno costruttivo ed elementi di architettura si inizia e si struttura, a partire dal 1890, l’esperienza di rilievi architettonici di edilizia monumentale e minore della città di Padova, raccolti nelle grandi tavole dei Rilievi di Antiche Fabbriche Padovane (disegni d’archivio).
Gli scopi erano molteplici: quello di esercitare gli allievi, attraverso i calchi e il rilievo grafico in scala minore, alla riproduzione del vero; quello di aumentare il corredo artistico e didattico della scuola; quello di documentare lo stato di edifici, frammenti architettonici e decorativi con l’obiettivo ultimo di instillare «nello spirito delle nuove generazioni il rispetto verso l’opera d’arte del passato» (Bresciani 1997).
Le esercitazioni svolte dagli alunni sono ben documentate da tavole di disegno, modelli e fotografie che, nel corso dei decenni sono stati custoditi nell’archivio della scuola. Questi pregevoli materiali, sono un indispensabile supporto per la comprensione di quelli che sono stati i principi dell’attività didattica e le sue evoluzioni dagli anni della fondazione della scuola ai periodi successivi, fino ai giorni nostri.
Ruolo della modellazione nelle fasi del progetto
Nei punti delineati da Pietro Selvatico il disegno, la modellazione ed il prodotto realizzato in laboratorio sono strettamente legati e seguono un ordine operativo.
Con Eugenio Bellotto, insegnante di plastica dal 1910 al 1924, le traduzioni plastiche in gesso, di notevole fattura dal punto di vista tecnico e formale, imprimono una svolta alla materia al punto tale da assumere un ruolo incisivo nella progettazione.
Le foto dell’epoca documentano un’ampia gamma di esercizi, ossia di modelli, di alta qualità e di precisione nei dettagli, preparatori alla realizzazione di oggetti, quali lampadari e cancellate da realizzare in ferro battuto, di vassoi da sbalzare su argento, ottone e rame.
Ci sono anche modelli in terracotta o gesso, utilizzati per l’architettura come traduzione tridimensionale di rilievi o per progetti di monumenti e architetture.
Creatività e Progetto
Guido Balsamo Stella, direttore della scuola e insegnante di disegno professionale per tutti gli indirizzi dal 1927 al 1929, artista riconosciuto a livello europeo, portò alla scuola una grande carica di rinnovamento che coinvolse docenti e allievi. La stagione aperta da Balsamo Stella, visibile sia attraverso le numerose esposizioni all’interno e all’esterno della scuola sia dalle affermazioni della scuola nel mondo delle arti applicate, mostra ora una realtà didattica molto cambiata.
Non si parla più di scuola per artigiani, falegnami, scalpellini, ma di un vero e proprio laboratorio di modelli formali per le arti applicate dove cambia radicalmente il concetto di decorazione, non più intesa come ornamento o sovrastruttura stilistica ma come anima dell’oggetto stesso.
Insieme ad un nutrito numero di docenti di arte applicata (Virgilio Pescosta per l’ intaglio, Servilio Rizzato per la scultura, Giuseppe Guzan per l’oreficeria, Carlo Dalla Zorza per la pittura, Procolo Odoni per l’architettura e Luigi Monte per la falegnameria) Balsamo Stella sperimentò un nuovo metodo di approccio alla creatività.
Egli riteneva, infatti, che la fase iniziale della progettazione, dovesse essere lasciata completamente libera da vincoli e direttive in modo da aprire alla spontaneità e al gioco senza preoccupazioni di coerenza e funzionalità. Nella fase successiva, guidata dall’insegnante, una volta selezionate le idee ritenute più adatte ad essere concretizzate, ogni studente veniva indirizzato verso un progetto organico e fattibile. Da questo momento iniziava un dialogo tra le discipline di progettazione e di laboratorio che attraverso la conoscenza delle tecniche lavorative favoriva la ricerca di nuove soluzioni (E.R. 1929). Negli anni a seguire, gli spostamenti rapidi di direttori e docenti da un istituto all’altro delle scuole d’arte, contribuirono a creare una forte circolazione di idee, di innovazione.
E’ in questi anni che s’impone nella Regia Scuola Selvatico l’idea che la progettazione vada intesa non più come applicazione di regole, ma come frutto di una maturazione soggettiva, propria di ogni individuo.
Giorgio Wenter Marini, formatosi al politecnico di Vienna, si laureò in architettura a Monaco in un clima culturale molto dinamico, e fu insegnante di progettazione al Selvatico dal 1934 al 1935.
Fermamente convinto di una indispensabile specificità dell’insegnamento artistico, che non poteva essere uniformato a quello delle altre scuole, sosteneva che «gli ordinamenti e le disposizioni devono essere interpretati con larghezza perché la Scuola d’Arte è ribelle» (Pappacena 1988, p. 136). Credeva, inoltre, nelle infinite risorse del temperamento e della fantasia degli allievi, che l’insegnante aveva il compito di scoprire e di assecondare per condurli ai massimi risultati possibili. «Gli allievi più capaci con intuito e passione – diceva sono quelli che secondo i regolamenti dovrebbero essere respinti» (Pappacena 1988, p. 139). Il suo entusiasmo, la sua esperienza e vitalità stimolatrice, ottennero in tutte le scuole in cui operò, risultati di notevole interesse.
Questa metodologia operativa sarà abbracciata, negli anni successivi, da ex allievi quali Amleto Sartori e Mario Pinton.
Amleto Sartori è docente di laboratorio di marmo e pietre dal 1939 al 1945 e di plastica e disegno dal vero dal 1946 al 1962.
Come Balsamo Stella, suo maestro, sosteneva l’importanza di privilegiare la soggettività di ogni individuo.
Negli appunti di una relazione per un corso di plastica sottolineava, infatti, che bisogna «preoccuparsi di raccogliere una regolarità compositiva solo dopo aver ampiamente sviluppato la fase creativa senza vincoli e senza regole» considerando il fatto che «ogni alunno è una personalità in formazione» (Sartori 1948) e quindi ogni soggetto, nella sua diversità, richiede una guida soggettiva diversificata.
Nel corso della sua attività, in linea con quanto sostenuto dai suoi predecessori, rileva che il progetto può realizzarsi solo attraverso una convergenza di idee e di esperienze, in quanto frutto di contributi ideativi provenienti dal laboratorio, dalle esercitazioni di plastica e di disegno professionale. (ill. 9)
Nel 1959 la scuola viene promossa a Istituto d’Arte. Dieci anni dopo, nel 1969, viene istituito il biennio sperimentale – che consente di completare il corso di studi da tre a cinque anni – che rimarrà tale fino al 2010 anno in cui la Riforma trasforma gli istituti d’arte in Licei Artistici.
L’istituto d’arte ha lo scopo di formare allievi che, una volta concluso il ciclo di studi possano inserirsi nel mondo del lavoro e si struttura mettendo al centro le molteplici materie artistiche.
Al docente di disegno professionale è affidato il compito della direzione laboratori, un ruolo di collegamento tra il disegno professionale ed i numerosi laboratori di indirizzo che, per la loro specificità, concorrono tutti alla realizzazione del progetto e, pertanto, anche al risultato.
Primo Bidischini, scultore e medaglista, diresse la scuola dal 1964 al 1968.
Il suo arrivo ridiede vitalità alla scuola incrementando e amplificando l’importanza dei laboratori
e, attraverso l’organizzazione di numerose mostre che fanno conoscere l’attività didattica, intraprese un’azione forte per aprire, il più possibile, la scuola all’esterno. Nel 1967, anno del centenario dalla fondazione del Selvatico, colse l’occasione per riallestire la scuola e organizzare mostre aperte alla cittadinanza.
Nelle varie partecipazioni della sezione di oreficeria alla Fiera di Monaco – dal 1964 al 1967 – ma anche alla Fiera dell’oreficeria di Vicenza (nel 1965), assieme a Mario Pinton, allora docente di oreficeria, attuò ‘i laboratori viventi’ con gli allievi impegnati nella realizzazione di oggetti all’interno degli stand fieristici. Esperienze che sono motivo di distinzione della scuola che non si limita ad esporre quanto realizzato nei laboratori scolastici ma vuole evidenziare una didattica ‘del fare’.
Mario Pinton, scultore e orafo, docente di disegno professionale – dal 1948 al 1969 – e direttore della scuola dal 1969 al 1976, ha dato all’Istituto una forte carica portando la sezione di oreficeria ad affermarsi nel panorama delle scuole d’arte. Allievo di Wenter Marini, sosteneva che il processo creativo e di realizzazione di un oggetto deve risultare dalla convergenza di saperi diversi quali la coscienza che la forma, la funzione, l’aspetto concettuale non possano andare disgiunti dalle abilità del sapere artigiano e delle tecniche complesse e raffinate, tutti aspetti che caratterizzano il linguaggio della Scuola orafa padovana.
Verso una didattica del progetto a tutto tondo
Giulio Bresciani Alvarez, studioso di arte e architettura della città di Padova, ha profondamente segnato con la sua presenza la vita del Selvatico in qualità di docente dal 1965 al 1983 e di preside dal 1983 al 1996, con qualche breve interruzione.
Ha insegnato in anni in cui la scuola era già stata promossa a Istituto d’Arte e a partire dal 1969 ha partecipato all’avvio del biennio sperimentale.
Dopo anni di applicazione del biennio sperimentale, per niente in sintonia con il triennio a carattere specialistico che lo precedeva, Giulio Bresciani riteneva necessario ripensare ad un percorso quinquennale finalizzato allo sviluppo di una formazione progettuale di base nel biennio seguita da una formazione, successiva, di indirizzo.
Nel testo del suo intervento al convegno Le scuole dell’arte, tenutosi a Padova nel 1989, si legge:
«A tal fine è ormai inderogabile la programmazione di una istruzione artistica capace d’impostare una educazione ed una formazione di base strutturata “a ventaglio”, a carattere polivalente, dove sarà da ricercarsi un’integrazione, per quanto possibile unitaria e coerente, tra le discipline cosiddette “culturali” e quelle “artistiche”. Integrazione da intendersi come una inderogabile vera e propria “propedeutica progettuale di base”, da cui derivare nella continuità dei cicli di studio, manualità e competenze di tipo professionale. Da una siffatta impostazione educativa e formativa, decorre di necessità un ridimensionamento dell’attuale carattere specialistico delle “sezioni” degli Istituti d’Arte, che andranno visti più come settori di sperimentazione della cultura progettuale e, quindi, della creatività, che non immediatamente finalizzate all’acquisizione di un preciso mestiere» (Bresciani 1989).
L’idea di Bresciani Alvarez si concretizzava in un biennio propedeutico e in un triennio specializzante, dove vi era un incremento delle materie culturali preservando, però, la centralità delle materie artistiche, in una connessione sempre più forte tra le varie discipline.
Negli anni Novanta, prendono avvio le esperienze chiamate ‘progetti pluridisciplinari’, ossia la realizzazione di progetti che nascevano dall’incontro-interazione della scuola con il territorio, che per la loro pluralità di ambiti mettevano insieme classi di indirizzi diversi. Esperienze trasversali, stimolanti, validissime dal punto di vista creativo e didattico, ad ampio raggio che mettevano alunni e docenti nella condizione di conoscere, comprendere e confrontarsi con gli aspetti lavorativi delle altre sezioni.
Progetti di forte impatto per la loro concretezza e completezza, che avevano il fine di fare comprendere agli allievi i processi progettuali appartenenti al mondo del lavoro in quanto, una volta realizzato il progetto con i suoi vari bozzetti e prototipi, si arrivava ad una vera traduzione-esecuzione. Tra questi si distinguono la realizzazione di due stand alla fiera di Vicenza nel 1996 (ill. 10) (si legga Il Mondo in una stanza).
Queste esperienze si moltiplicano e diventano parte della attività didattica con l’arrivo, nel 2002, di Luisa Molino che avverte, da subito, come gli studenti siano maggiormente motivati al lavoro scolastico se coinvolti in esercitazioni che vedono concretizzare il loro operato.
Luisa Molino, insegnante di matematica e fisica, dal 1978 al 1985, e vice preside di Giulio Bresciani Alvarez, dal 1985 al 1991, dirige una prima volta la scuola nel 1991-1992 e, più tardi, dal 2002 al 2014.
Al suo rientro si impegna al massimo per risollevare e ridare vitalità e identità alla scuola, motivando il lavoro di allievi e docenti, ampliando e migliorando l’offerta formativa, con l’inserimento della lingua inglese nel percorso curricolare e l’organizzazione di attività laboratoriali extracurricolari, e creando occasioni per aprirla alla città e per proiettarla il più possibile verso l’esterno: allestimento di mostre nella Rotonda della scuola, apertura della sede jappelliana al pubblico con i ‘Notturni d’arte’, partecipazione a concorsi, attivazione di laboratori artistici per adulti, istituzione del corso serale.
Si ricordano tra i tanti progetti realizzati Porta Portello e dintorni
e Dallo stemma al logo, del 2002-2003, finanziati dalla Regione Veneto,
Il colore come cura per il reparto di Cardiochirurgia e Centro Gallucci di Padova (2004-2007), la Guernica del 2007,
la progettazione e realizzazione di uno spazio espositivo alla Fiera di Vicenza, nel 2011, nella sezione Creare con la carta.
Dal 2010, anno di cambiamento dovuto alla riforma, si trova a traghettare Selvatico nel non facile passaggio da Istituto d’Arte a Liceo Artistico e il suo impegno principale diviene quello di ‘armonizzare’ il più possibile questa trasformazione senza stravolgere l’anima della scuola.
Le esperienze pluridisciplinari e a tutto tondo sono andate consolidandosi nel tempo e costituiscono, sempre più, la forza ed il pregio della didattica del Liceo Artistico Selvatico.
In questo ultimo triennio sono risultati di notevole interesse i progetti Giardini Segreti e Sogno di una notte di mezza estate, realizzati, entrambi, in collaborazione con l’Associazione Portello e con il patrocinio del Comune di Padova.
Il primo, della durata biennale, incentrato sullo studio del giardino storico in borgo Portello, inteso come memoria e salvaguardia del patrimonio artistico ma anche come spunto operativo per nuove letture e progettazioni – che ha visto la collaborazioni di esperti ed il coinvolgimento di discipline quali storia, storia dell’arte, inglese, progettazione e laboratori degli indirizzi di Architettura e Ambiente e Decorazione Pittorica – è terminato con l’esposizione dei materiali prodotti in una mostra aperta alla cittadinanza nella sede di via Belzoni, nel 2016.
Il secondo ha impegnato allievi e docenti della scuola, in particolar modo quelli di Scenografia e Design della moda, in un percorso didattico laboratoriale che si è espresso attraverso le discipline dello spettacolo e si è concluso, a fine anno, con la rappresentazione teatrale a Porta Portello.
Alla fine di questo viaggio, volendo tracciare il filo conduttore che ha accompagnato il percorso della Scuola in questi 150 anni, posso sicuramente dire che i punti delineati da Pietro Selvatico si sono mantenuti nel tempo, sono andati, naturalmente, sviluppandosi, arricchendosi, perfezionandosi, evolvendo, grazie al contributo dei vari direttori e docenti che si sono succeduti e che si sono adoperati per la crescita della scuola.
Questo filo conduttore si può definire Didattica del progetto.
La sua forza sta nella consapevolezza che ogni disciplina ha un suo ruolo specifico, ma è anche parte fondamentale delle altre e che solo attraverso il dialogo continuo tra le discipline è possibile fornire conoscenze, strumenti e metodi di lavoro utili a sviluppare nell’allievo creatività, progettualità e operatività.
il testo sopra pubblicato è ripreso dal catalogo della mostra:
150 anni del Selvatico, La scuola delle arti di Padova …